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Derek Walcott, il poeta che era tutti e nessuno, come Ulisse


di Carmelina Sicari - Direttrice di Calabria Sconosciuta
Sì, ho conosciuto personalmente il grande poeta dei Caraibi morto il fatale 17 marzo del 2017, Derek Walcott, ad uno dei festival poetici in cui presentava la sua poesia pubblicata da Adelphi. Nobel per la poesia appunto nel 1992, era stato definito l'Omero contemporaneo. Aveva scritto un poema il cui titolo era Omero ma aveva di Ulisse la passione per il mare e lo spirito di avventura di un navigatore instancabile tra le ascendenze culturali dei vari popoli. Soleva dire per la sua lingua innovativa e straordinaria che era un nero ma anche un inglese, un americano. Era tutti insomma e nessuno proprio come Ulisse. Nell'incontro non si atteggiò ad ulisside né tanto meno ad Omero.
Ma il suo amore per il mare, la sua lingua composita che assumeva le radici di molteplici linguaggi lo definivano subito non solo come poeta ma anche come uomo dalla straordinaria esperienza. Polutlas proprio come Omero definisce Ulisse. Sappiamo che la poesia è metafora ed analogia e che il gioco allusivo del poeta è quello di includere il lettore nella scoperta del significato della prima la metafora, come della seconda, l'analogia. Lector in fabula. Un gioco a nascondino quasi. Walcott è maestro in questo gioco e la molteplicità delle sue metafore e delle analogie è pari alla molteplicità del linguaggio, alla sua pluralità in cui tutti i lettori possono ritrovarsi.

Se alla luce delle cose tu scoloricome la luna lasciata accesatutta la notte tra le foglie,possa tu invisibilmente allietare questa casa,o stella, doppiamente compassionevole.
Venuta troppo presto per il crepuscolo,
troppo tardi per l'alba.
Si osservi il contrasto luce-scolori oppure le corrispondenze finali presto-crepuscolo, tardi-alba, le celebri corrispondenze di cui parlava il grande Baudelaire. Non vorrei, con una punta di civetteria, dire troppo perché sarebbe sempre troppo poco e toglierebbe all'intelligenza del lettore, il piacere del disvelamento. Quindi un'altra sola citazione, quella che sembra contenere il presagio della fine.

Tempo verrà in cui saluterai te stessoarrivato alla tua porta.Amerai di nuovo lo specchio che era il tuo io.
E qui risentiamo echi di John Donne, della Dickinson, della grande letteratura anglo-americana e ci sentiamo esaltati alla potenza sincretica di questa lingua di una grandissima poesia.


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